Come si può amare la mountain bike?

My mountain bike

Stamattina con la mia mountain bike, sulla ciclabile

(English text here)

Non è, la mia, una domanda retorica, né, tantomeno, una provocazione. Vorrei proprio capire!

Ieri mattina ho ripreso la mountain bike perché la ciclabile che percorro normalmente è un manto di foglie. Bello, per carità, ma super pericoloso per la bici da corsa. Negli ultimi due giorni, poi, è piovuto tantissimo, quindi è un manto di foglie bagnate. Non il massimo.

La mia uscita è iniziata con l’incontro inatteso con la Morte che mi si è paventata appena uscita dal centro cittadino. Stavo percorrendo la ciclabile che fiancheggia la strada, lungo Viale Bornata (una ciclabile praticamente inutile, by the way)  quando un Simpatico Coglione, sul suo furgoncino, ha deciso di curvare all’improvviso  verso il benzinaio, tagliandomi di netto la strada. Sicuramente se avessi avuto la bici da corsa, ora non sarei qui a scrivere…. Ho stretto i freni più che potessi e sono finita a credo 5/6 millimetri dalla portiera del suddetto  SC. Mentre frenavo ho  urlato come una pazza per la paura e il tipo ha inchiodato, poi tranquillamente è andato avanti. L’ho guardato bene in faccia e lui non ha fatto una piega. Inutile dire che non mi ha neanche chiesto scusa. Per i 2/3 chilometri successivi non sono riuscita a procedere ad una velocità decente perché avevo le gambe che mi tremavano.

Quindi, ok, presa da un altro punto di vista, potrei pensare che la mountain bike mi ha salvato la vita, il che non è malaccio.

Ma tutto il resto?

In 30 chilometri percorsi (normalmente ne faccio 50 nelle uscite  infrasettimanali, ma ero troppo scazzata e a 15 ho girato la bici e sono tornata indietro) non ho mai superato i 25 all’ora, neanche sulla Gavardina, dove di norma raggiungo i 35. La bici mi sembra, o forse è, strapesante. Ho sempre l’impressione di dover accorciare, quando non c’è più niente da accorciare e, come una pazza, continuo a cambiare per poi tornare alla marcia iniziale.

A metà Gavardina, non ne potevo più. Ho lasciato la ciclabile e ho preso una via laterale. Ho poi proseguito fino a casa sulla provinciale. E più pedalavo lì, più mi davo della stupida perché sicuramente sul manto di foglie sarebbe stato meglio che sul cemento della provinciale! Ma tant’è. Ad un semaforo di Molinetto mi è passato davanti un gruppo di quattro ciclisti sulla bici da corsa, che mi sembravano leggeri come l’aria e ho provato quel brutto sentimento che pensavo non mi appartenesse: l’invidia.

Ora, io mi domando, ma è proprio vero che in autunno è meglio lasciare la bici da corsa in garage e andare con la mountain bike? Forse la risposta sta nel mio incontro mattutino e nello scontro non avvenuto. Chissà!

2000 chilometri. Ecco perché amo la bici.

(English version)

2000KMSabato scorso ho raggiunto la mia meta e l’ho superata: 2000 km in bicicletta, macinati dal 19 di aprile.Sono soddisfatta e felice.

Se mi avessero detto che un giorno mi sarebbe piaciuto andare in bici, non ci avrei mai e poi mai creduto.

La prima volta che andai su una bici da corsa fu una decina di anni fa.

 Da poco il mio fidanzato di allora, e marito di oggi, aveva parcheggiato la sua bici super professional nel mio garage e io, senza pensare alle possibili conseguenze, per riuscire a parcheggiare due auto nel posto di una sola, avevo lasciato il portone aperto e per aperto intendo SPALANCATO.

Va da sé che nel giro di due giorni (sì, l’ho lasciato così per due giorni), la bici sparì. Forever. Ricordo che era una Cannondale, che per la mia conoscenza del mondo bici, avrebbe potuto avere il valore di una Graziella… Non che ora mi intenda di biciclette, ma oggi posso capire cosa possa significare perdere una bicicletta. Se lui non mi ha uccisa, credo lo si debba esclusivamente al fatto che eravamo ancora solo fidanzati. Oggi, molto probabilmente, non lo farebbe, ma ci penserebbe su.

Era da poco venuto a vivere in questa città e il suo unico punto di riferimento, a parte me, era la bici. E per colpa mia, adesso non l’aveva più.

Ciononostante, ci sposammo. Alcuni amici, su leggerissimo suggerimento di mio marito, ci regalarono due biciclette. Proprio durante la festa che seguì la cerimonia del nostro matrimonio lui venne da me e mi disse: “Domani mattina… sorpresa! Ci hanno regalato due mountain bike, le ho già caricate in macchina e andiamo in Toscana!”. Quale gioia immensa…

montalcino-2004

Montalcino 2004

Ricordo distintamente ogni granellino delle strade bianche di Montalcino che mi sembrava non finissero mai, la discesa (e poi la salita) verso l’abbazia di Sant’Antimo …il sole di giugno che rispendeva sulle colline verdi, ma soprattutto, dopo 26 km, ricordo il mio male allucinante al sedere!

Sinceramente pensavo che la mia esperienza in bici, per quanto piacevole (sedere a triangolo a parte), fosse iniziata e finita lì.

Dopo un anno mio marito tornò all’attacco, per portarmi, però, con la bici da corsa. Mi sentivo ancora in colpa per la Cannondale che gli avevano rubato pochi mesi prima  (io vivo con il senso di colpa per tutto, se è per questo) e a questo si aggiunse il piccolo particolare che poco tempo dopo io tornai, come facevo anni prima, a lavorare a Roma, lasciandolo qui da solo durante la settimana. Quindi, va da sé, che mi fu servito su un piatto d’argento un altro senso di colpa.

Et voila. Ecco, forse, è per via del senso di colpa che oggi io vado in bici…

Per dirla tutta io ero follemente gelosa della bici, anzi di “questo ca..o di bici”, come la chiamavo. Non capivo che cosa ci fosse di così bello ad andare in giro e farsi un mazzo così per poi tornare a casa. A volte, in auto, avrei voluto tirarli sotto i ciclisti in mezzo alla strada!

Ad ogni modo, alla proposta di andare con la bici da corsa, non seppi dire di no. Ricordo ancora com’ero vestita il giorno della prova su sella, ricordo come mi sembrava difficile poter anche solo pensare di “governare” il manubrio, curvare, frenare e soprattutto restare in quella posizione assurda, come ripiegata su me stessa. E ricordo il giorno in cui salii per la prima volta sulla mia nuova bici, una Colnago tutta nera.

Nel negozio, tutti a chiedermi: “Sei sicura che saprai staccare i ganci delle pedaline?”. Io, spavalda “certo”. Vuoi provare ad andare qui sul marciapiede prima?” “No, tranquilli, adesso provo ad andare sulla strada”, dicevo convinta. Quindi, uscii dal negozio, in sella, e dietro di me, a piedi, mio marito e i proprietari del negozio. Feci un metro, due, tre, poi c’era la discesa del marciapiede per andare in strada. Discesa di sì e no 5, massimo 10 cm. Non so ancora come, ma feci un volo allucinante. Praticamente da ferma, caddi, insieme alla bici, sul lato destro. Ero sporca di sangue per un mega graffio su un ginocchio e sul braccio. Tutti quelli che erano lì a vedere la mia “messa su strada” corsero verso di me per controllare come stessi. Arrivò anche mio marito, mentre io cercavo di sollevarmi da terra e urlò: “Noooooooooooooo!!! Che botta! Hai rovinato la maniglia del freno!! Guarda! Noooooooooo!!!”.

Lì intuii che la strada sarebbe stata tutta in salita.

Quell’estate, nonostante durante la settimana lavorassi a Roma, e fossi a casa solo nei week end, da giugno a settembre feci 800 km. Ma oggi posso dirlo: senza passione.

Mia mamma, tutte le volte che mi ero lamentata con lei del fatto che mio marito andasse in bici, praticamente ogni volta che questo succedeva, mi aveva ripetuto “ma perché non vai anche tu, che ti farebbe bene?” e io, finalmente,  l’avevo ascoltata. Quindi andavo in  bici perché era un modo per stare con lui, che difficilmente avrebbe rinunciato ai suoi giri durante il week end. Dicevo che mi piaceva, ma ora mi rendo conto che non era vero, o forse in quel momento mi sembrava lo fosse, ma è imparagonabile a quello che significa per me andare in bici oggi. Oggi ho BISOGNO della mia bici. E davvero credo che se una persona non va in bici o ci va senza passione, non possa capire cosa significhi andare in bicicletta e goderne ogni attimo.

Non so come io abbia riniziato ad andare in bici e ad amarla per davvero. So che è stato un percorso lungo.

A dire il vero in questi ultimi 10 anni non avevo mai smesso di pedalare, fatto salvo il tempo delle gravidanze e annessi e connessi… facevo qualche giro al week end con mio marito fino al lago di Garda e ritorno, un po‘ di volte ho provato a salire il  monte Maddalena, qui a Brescia, finché  alla terza, in un tempo inestimabile, sono arrivata fino in cima, senza piangere (già successo), senza mandare a cagare mio marito (successo anche questo) , senza girare la bici e tornare a casa (pure questo), senza tutte e tre le condizioni precedenti messe insieme,  e poi tante salite in montagna d’estate. In poche parole ero  una ciclista per caso.

Andavo in bici e, mentre pedalavo in città verso la ciclabile,  il mio unico pensiero era: “Ti prego Dio fa’ che il semaforo all’incrocio sia verde!” ero terrorizzata dalle pedaline, dal non essere in grado di fermarmi senza schiantarmi al suolo. Avevo paura che il marciapiede fosse troppo basso per poter appoggiare il piede una volta ferma. Poi c’erano (e ci sono) le regole ferree di mio marito…ricordo che mi ripeteva mille volte di restare concentrata e quindi, non appena uscita di casa, al sabato mattina avevo il terrore di incontrare qualche amico (cosa che succede sempre, a dire il vero)  perché avevo e ho il divieto di fermarmi a salutare oppure ricordo una delle prime volte sulla ciclabile della Gavardina “Guarda, amore, i papaveri! “ dissi indicando un campo bellissimo. Lui “stai concentrata! Non siamo venuti in bici per vedere il panorama!”. Ecchecazzo! O ancora, dopo aver fatto Pinzolo-Campiglio (senza essere allenata) mi disse “che sgambatina!” “sgambatina???? Ma io ti ammazzo!!!”

Poi, l’anno scorso, al mio quarantesimo compleanno mio marito mi regalò una bici (SORPRESONA…) . Bici che io non ho assolutamente considerato per un anno e passa, a parte averla utilizzata per un’escursione in Austria (comodissimo , per altro, andare in vacanza con due auto per portare le bici… e altrettanto facile fare delle salite per me allucinanti, a 1500 metri di altitudine, con zero chilometri nelle gambe…). Da lì la mia bici è rimasta in garage in attesa di tempi migliori che, sinceramente, pensavo non sarebbero mai arrivati. Passò l’autunno e poi l’inverno. Arrivò poi la primavera di quest’anno. La mattina del 19 aprile, mio marito mi chiese, per la miliardesima volta, se volessi andare con lui in bici. Non so perché dissi di sì, proprio non lo so. Forse ripensai a mia mamma quando mi ripeteva “vai in bici con lui”, forse perché da quando ci sono le bambine non passiamo mai un momento da soli, forse semplicemente perché lo amo, ma ci andai.

Mi feci prestare una maglia, perché non ricordavo nemmeno dove avessi messo le mie. Feci solo 16 chilometri e mi sembrava di essere nel film Shining. Una paura bestiale! Ogni minimo soffio di vento mi faceva ondeggiare la bici, o per lo meno così mi pareva;  mi sentivo perennemente in bilico ed era tornato l’incubo delle pedaline, di come agganciarle prima e come sganciarle poi. Ma tornata a casa, ammisi a me stessa che era stato molto piacevole. Andai anche dopo due giorni, stesso percorso, solo un po’ più veloce, anzi diciamo meno lenta.

Poi, come ho già scritto qui sul blog, pochi giorni dopo, ebbi un’illuminazione e chiesi ad una mamma della scuola di mia figlia, una specie di wonder woman, che fa mille gare tipo half iron woman e imprese impossibili, se volesse allenarmi. Stabilimmo 10 lezioni, da due ore l’una. E da lì mi è scattato qualcosa. Senza nulla togliere a mio marito, andare con Cristina mi ha fatto capire che la bici poteva anche essere divertente. Con mio marito mi sono sempre sentita non all’altezza della situazione, perché è vero, io non sono all’altezza, ovviamente, ma non è che uno te lo debba sottolineare. Forse lui non lo sottolinea nemmeno, sono io che mi sento sempre così. Con Cristina e con il suo modo “molto fine” è stato diverso. Non appena con la coda dell’occhio vedeva che io rallentavo  urlava “Pedala! Pedalaaaaaaa, Ari, Fi.a!!!”, io mi vergognavo tantissimo, e quindi pedalavo, eccome! Pedalavo e ridevo, ridevo e pedalavo!

Ricordo la prima uscita con la Cri, sul Montenetto,  a sud della città, lei che mi diceva “vedi che bei colori intorno a noi?” e io non vedevo niente perché ero concentrata sulla mia bicicletta e a quel punto della mia vita ciclistica, non sarei mai riuscita a fare due cose insieme. Dopo che Cristina, come ho raccontato qui, senza avvertirmi, una volta che avevo nelle gambe 500 km, mi fece salire per la San Gallo- Serle e io ce la feci, e riuscii anche a rispondere a tono al tuttologo mentre stavo pedalando, mi disse “Ora sei pronta per fare la Maddalena”, non mi sembrava vero!

E la settimana successiva la feci. Arrivai fino in cima. (10 chilometri di salita, 600 metri di dislivello e non molla mai) La Cri era sconvolta dal fatto che io ogni tanto mi fermassi a fotografare l’impresa, perché davvero per me era un’impresa! Arrivai in cima e mi piacque talmente, che due giorni dopo la rifeci.

 La Maddalena non è l’Everest, ma, come scrissi sulla mia pagina Facebook, è stato il MIO Everest personale. La seconda volta che la feci, ricordo era un giovedì di giugno di quest’anno.  Il giorno prima, nel fare una visita da un endocrinologo , così, d’emblée, mi disse “guardi che c’è la possibilità che lei abbia un cancro alla tiroide”. Così, quando non te l’aspetti. E il giorno dopo, sulla Maddalena, pedalata dopo pedalata, io pensavo alla vita, alla MIA vita, alle mie figlie, alla paura, come non avevo mai fatto in vita mia. Io che non ho mai avuto paura della morte, certa che questa che stiamo vivendo sia solo una prova per il dopo, mi sono riscoperta attaccata alla vita, e con una paura incredibile. Salire fino in cima, curva dopo curva, tornante dopo tornante e spingere le gambe con tutta la forza possibile, ha significato per me qualcosa che non dimenticherò mai. Arrivare in cima era una sfida con me stessa, che ho vinto e che ho rivinto, da allora, tante altre volte, anche dopo che il pericolo del cancro è, per fortuna, sparito.  Ho vinto e rivinto la sfida con me stessa quando la mattina, anche dopo essere tornata dalle vacanze, senza più tanto allenamento continuo, ho preso la mia bici e da sola, piano piano,  sono arrivata fino in cima o ancora….ho vinto al tramonto, con mio marito, cullati dalla luce del sole che piano piano se ne va e dalle ombre che si allungano sulla strada ormai scura.

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In questi sei mesi di bici ho scoperto che si può, sì, guardare il panorama e nel frattempo andare in bici, ma aveva ragione mio marito, prima è necessario prendere confidenza con la bicicletta ed io aggiungo rispettarla e amarla. La concentrazione è tutto. Se io, che ho il fisico più lontano al mondo dal ciclista o da un’atleta, io che sembro Barbamamma, riesco in poco più di un’ora e venti a fare la Maddalena, lo possono fare tutti, a patto, però, che lo vogliano. Perché sono arrivata alla convinzione che è tutto nella testa, nella concentrazione, nella voglia e nella passione. Vado ancora in bici con mio marito e adesso è bellissimo. Certo, ci sono volte in cui mi incazzo ancora perché lui mi dice di stare in scia, io non sto in scia e lui se ne va avanti senza controllare se io sia ancora viva e vegeta, volte in cui io lo chiamo e lui, avanti, non sente e allora sembro una pazza isterica che urla il suo nome nel bel mezzo del nulla e poi, quando finalmente mi sente, mi sono dimenticata cosa gli volessi dire. Ogni tanto mi sento ancora non all’altezza, ma vivo per i momenti in cui, colta da non so quale raptus, in pianura, “volo” a trentacinque all’ora e al semaforo lui mi raggiunge e mi chiede se mi abbiamo messo il peperoncino sul sedere… So che lui ha le sue regole, io ormai le ho imparate a memoria e le rispetto. Io ho la mia, che è: “prima di tutto la bici è un piacere, non un dovere” . Se non me la sento, quindi, non ci vado. Questa regola è però molto spesso infranta perché se fosse per la mia pigrizia, il 90% delle volte, starei a casa. Sono riconoscente a mio marito perché, conoscendomi bene, insiste, finché io non mi faccio forza, esco dal mio pigiama del sabato mattina e inforco la bici, ben felice, poi di averlo fatto. Grazie a questa passione comune, insieme, stiamo percorrendo nuove strade, stiamo scoprendo nuovi percorsi, luoghi a un passo da casa, davvero meravigliosi.  La mia non è più una bici, ma è la MIA bici, la mia meravigliosa e insostituibile bici.

IMG_3631Questi 2000 chilometri sulla mia bicicletta da corsa, che tornerà purtroppo in garage fino a primavera per lasciare ora spazio alla mountain bike sono stati 2000 chilometri di scoperta della natura e del territorio attorno a me, 2000 chilometri in cui mi sono sentita parte di un mondo parallelo che mi ha accolta e coccolata, ma soprattutto 2000 chilometri di viaggio dentro di me.

Bike Anatomy

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Lo dico subito, visto che la  mia correttrice di bozze, cioè mia mamma, detta anche COLEI CHE MI CAZZIA, dopo aver letto ciò che segue, ha sentenziato che lei non l’ha trovato intrigante (secondo me voleva dire interessante, ma si deve essere fatta scrupolo). Considerando che non so se mai mia mamma nella vita sia andata in bicicletta, e per bicicletta intendo la Graziella, mi rendo conto che, effettivamente, questo post forse è adatto solo a:  chi ama la bicicletta,  chi è un neofita come me e chi è entrambe le cose e  ha voglia di imparare qualcosa in più.

Detto ciò…ecco il pezzo.

L’altra sera mi sono data alla lettura. E già questa è una notizia. Solitamente, infatti, la mia sfavillante serata consta nel mettere le mie figlie a letto e nella mission quasi impossible di farle addormentare. E  l’epilogo della serata vede protagoniste loro due che mi richiamano all’ordine “Mamma!!! Ti sei addormentata! Vai avanti con la storia!” e poi, di norma, mi addormento insieme a loro.

Ma l’altra sera non solo sono riuscita ad avere il tempo (e le forze) per leggere, ma, snobbando i libri che da mesi giacciono sul mio comodino, ho letto il mensile “la Bicicletta” .  Ho SCELTO e ripeto, ho proprio SCELTO di leggere una rivista di bici! Cioè non di sfogliare, ma proprio di leg ge re! In tutti questi anni con mio marito mi ero sempre chiesta cosa mai ci fosse da raccontare ogni mese, in diverse riviste, sulla bicicletta! E ora, gliel’ho sfilata di soppiatto e… vai di lettura!

Ogni tre parole, però, mi sono ritrovata a dovermi rivolgere a mio marito perché non ne capivo il senso.

Mio marito, di solito, la prima volta che mi azzardo ad interrompere le sue letture serali, abbassa di poco il libro, mi guarda come a dire “Fai alla svelta perché mi sto già scazzando”;  alla seconda, appoggia il libro sulle gambe e mentre io parlo, tiene un dito sul segnalibro e lo muove su e giù nervosamente;  alla terza , beh alla terza non ho mai avuto il coraggio di arrivarci!

(a sua discolpa ammetto che tutte le possibili domande da fargli mi vengono in mente sempre e solo quando andiamo a letto e lui sta leggendo…)

Ma questa volta è diverso. Non trattandosi di questioni di vita familiare in generale, ma del suo primo e vero amore, cioè la bicicletta, ho notato che mi stava ascoltando e quindi ho incalzato con le domande. Lui, impegnato nella lettura di non so quale libro di storia che non leggerei nemmeno sotto tortura , con pazienza ha cercato di rispondere alle mie domande, tipo:

“Scusa…cos’è il pacco pignoni?!”

“Cosa vuol dire Gran Fondo?”

“Quindi se le nostre bici non sono da Grand Fondo e neanche da corsa, cosa sono?”

“Ma perché qui dicono che questa bici non va bene?”

Eccetera eccetera…

Io ho clamorosamente finto di avere capito. Annuivo. Non so se lui ci abbia creduto, ma questo gli ha permesso di andare avanti a leggere il suo libro, quindi va bene così.

Però da quella sera ho deciso che mi sarei applicata. E ho studiato. Oh…yes!  Mi sono guardata una dozzina di siti italiani e stranieri e  poi, con le mie manine, ho creato questa immagine, utilizzando una nuova bici di Pinarello, che sarebbe il mio sogno, ma che sarebbe sicuramentissimamente sprecata per me.

Ed ecco il risultato. Spero possa essere utile a chi, come me, ha iniziato da poco ad andare in bicicletta e da pochissimo  se ne è perdutamente innamorato.

parti-della-bicicletta

Poi  ho numerato ogni componente, ho tolto i relativi nomi e ho provato a vedere quanti me ne ricordassi.  Risultato: tanti quanti prima. (vale a dire: manubrio, freni, pedali, ruote e cavaletto, ma cavalletto non vale perché non c’è!)

Mi sento come quando feci l’esame di Linguistica Generale. Studiai molto. Presi 28. Uscii dall’aula d’esame e avevo già scordato tutto.  Praticamente per me  è una mission impossible!

Se volete provare anche voi…ecco qui la prima immagine coi numeri e i nomi, la lista dei numeri e in fondo alla pagina le soluzioni. Però non spiate!

numeri-componenti-bici

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Ed ecco qui sotto la soluzione:

non spiate, però!

adesso arriva…

un po’ più giù

eccola:

parti-della-bicicletta da corsa con numeri

Ho appena notato che non si legge assolutamente niente. Molto bene. Ci ho messo solo due giorni a trovare i nomi di tutti questi pezzi e per di più li ho tradotti tutti anche in inglese. Ottimo. Prendetela così: avete fatto un buon esercizio per gli occhi. (adesso devo assolutamente riuscire a trovare il modo per mostrare le foto nella dimensione originale senza che il blog faccia il resize, ma siccome è mezzanotte e solo in questo momento mi sono ricordata che devo preparare delle cose per l’asilo di mia figlia piccola…ecco, magari ci provo in un altro momento!)

Alla prossima! E grazie per la pazienza.

PS. (lo so, sono logorroica) L’altro giorno ho avuto un’impennata pazzesca di visite al blog, ma proprio pazzesca pazzesca. Ecco, io non so bene come funzionino i blog. E’ una settimana che io sono online…non conosco molto bene le regole, però ne approffitto per ringraziarvi. Grazie, grazie, grazie.

Attenzione alle chiacchiere in bici!

Stasera, al telefono con mia mamma:

A (io): “Domani, se tutto va bene, vado a fare il giro del lago d’Iseo in bici”.

O (mia mamma) : “Stai attenta…mi raccomando!!”

A: “Attenta a cosa???”

O: “No.. hem…è che ti ho vista una volta che passavi col rosso…”

A: “Mamma, ma cosa stai dicendo? Io non passo mai col rosso e poi, quando mi avresti vista?”

O: “Una mattina, in piazzale Arnaldo. Ero in coda al semaforo e ho visto benissimo che sei passata col rosso e volevo morire dalla paura”.

A: “Ma no, mamma! Ho capito a cosa ti riferisci! Quando vedo che a destra e a sinistra è appena diventato rosso, parto un nanosecondo prima che il semaforo diventi verde, per non essere spianata dalle auto in partenza, mentre sto agganciando le pedaline. Tranquilla! Comunque, scusa mamma…io ieri ho aperto un blog sulla bici, ti ho mandato il link. Potresti anche leggerlo!!”

O: “Io ho iniziato a leggerlo, ma sto male!

A: “In che senso, scusa?”

O: “Leggo che fai quelle cose lì e io ho paura!”

A: “Ma che blog hai letto? Quali cose? Cosa stai dicendo?”

O: “Ho letto che vai per quelle stradine…coi sassi…e poi che chiacchieri quando sei in bici! E io ho paura. Metti che se chiacchieri ti tirano sotto!”.

Ora, per fare uno esempio a caso di com’è sempre stata mia mamma..…quindici anni fa, in Nuova Zelanda, feci rafting  sulla cascata  Kaituna, che pare essere la più alta al mondo per il rafting commerciale, pur sapendo nuotare solo a rana (ma una di quelle rane super impedite!) e pochi giorni dopo mi buttai col paracadute, in tandem,  da 4600 metri, dopo avere avuto un corso di preparazione di forse, e dico forse, 3 minuti e mezzo, lanciandomi con i sandali ai piedi e senza casco sulla testa. Quando dall’altro capo della terra, chiamai mia mamma per raccontarle tutto ciò, lei era completamente esaltata per me. “Avrei tanto voluto fare anche io delle esperienze così emozionanti!” aggiunse.

Oggi, invece, è terrorizzata dalla possibilità che io schiatti perché “chiacchiero” quando sono in bicicletta.

La domanda ora sorge spontanea: è lei che è diventata improvvisamente una mamma apprensiva oppure ritiene che io, col tempo,  mi sia rincoglionita?