Brescia – Desenzano – Sirmione e ritorno. (con Virginia Woolf and company)

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Sabato scorso, quando mi sono svegliata, sapendo che sarei andata in bici con mio marito, avrei tanto voluto restare nel letto. Sveglia, ero sveglia. Da tempo. Mia figlia piccola si era alzata alle 6 e mezza. A volte penso che lei voglia godere di ogni singolo attimo della sua vita e non sprecarne nemmeno uno dormendo. Solo che lei non ha ancora 3 anni e di giorno, poi, si riposa, io a 41 durante il giorno sono morta.

Comunque, nonostante la mia stanchezza, mi sono fatta forza e mi sono auto-convinta che andare in bici non avrebbe potuto far altro che bene, se non altro mi avrebbe svegliata! Ammiro molto quelli, come mio marito, ad esempio, che si svegliano con la voglia di andare in bici. Io, soprattutto al week end, mi farei pestare piuttosto di uscire dal mio pigiama, ma so che poi, una volta in sella, tutto cambierà e che quando sarò nuovamente a casa, starò già sperando di poter andare al più presto in bici. La mia è solo pigrizia.

 Così ho svolto il solito rito della preparazione: lenti a contatto, fascia cardiaca, maglietta invernale, giacca e pantaloni da mezza stagione, calze lunghe, scarpe, guanti, casco, Garmin acceso, e via. Mi sono pure gonfiata le gomme da sola. Poi, ovviamente, è arrivato mio marito, che non si fida,e me le ha rigonfiate. Ma questo è normale. Così come è normale che io gli dica: “stamattina sono distrutta, al massimo potremmo arrivare fino a Salò, visto che non l’abbiamo ancora fatto e torniamo. Saranno 50/55 km, va bene?”. Lui, as usual, mi risponde “Certo!”. Ormai lo sa che io rompo sempre, a prescindere. Forse lo so anche io, ma è che io “mi porto avanti”, nel senso che se poi, davvero, voglio fare pochi chilometri, posso sempre dire “te l’avevo detto”. In realtà, per ora, non è mai successo che io volessi tornare indietro.

 Alla fine ne abbiamo fatti 92. E a Salò non ci siamo andati.

Ecco la mia uscita

Sabato 19.10 2013

mappa Brescia- Desenzano - SirmioneMentre esco dal portone di casa, in sella alla mia bici penso “Non ce la farò mai, davvero questa mattina, non ce la posso fare.” Il cielo è grigissimo, fa freddo, ho sonno.

 A differenza del solito tragitto, non prendiamo la ciclabile. Vogliamo arrivare direttamente a Salò senza perdere tempo. Lungo Viale Venezia, per uscire dal centro città, come ogni santissima volta che vado in bici e la percorro, ci sono due auto tranquillamente parcheggiate (sempre le stesse due) sulla pista ciclabile. E ogni volta penso avrei una irrefrenabile voglia di  distruggerle a sassate. Tu stai arrivando a 25 all’ora sulla corsia riservata alle bici e nel frattempo stai già ringraziando Dio perchè, nel tratto di strada precedente, qualche auto parcheggiata a lisca di pesce, nel fare retromarcia, non ti ha steso e ora stai pregando che le auto che sfrecciano alla tua sinistra non ti tirino sotto. A quel punto, all’improvviso, sul cammino ti imbatti nelle macchine parcheggiate sulla ciclabile. I due incivili, cioò i proprietari, sono molto fortunati a non avermi mai beccata mentre arrivo in bici perché, con chi parcheggia sulla ciclabile, io do il peggio del peggio di me. La settimana scorsa, sempre in Viale Venezia, mentre arrivavo da Sant’Eufemia a 32 all’ora, uno CON UN CAMPER avanzava tranquillamente indisturbato sulla ciclabile. Non posso ripetere quello che gli ho urlato, dopo che mi sono avvicinata e, con una mano sul manubrio, con l’altra gli ho bussato al vetro. Per essere sicura che capisse, visto che aveva la targa della repubblica ceca, gli ho parlato (diciamo pure urlato) pure in inglese.

 Comunque….mio marito ed io abbiamo preso la ciclabile a Pontenove, direzione Lago di Garda.

Mentre sto pedalando tra i campi arati, sui quali, rispetto alla settimana scorsa, sta già spuntando l’erba verde, il mio pensiero vola. E non so come e non so perché, e sono due giorni che me lo domando, penso a Mrs. Dalloway. Per chi non lo avesse letto, Mrs Dalloway è il nome della protagonista di un libro di Virginia Woolf, da cui prende il nome il titolo.

Sono anni e anni che non leggo un suo libro, eppure, all’improvviso è come se Mrs. Dalloway fosse qui con me e con lei alcuni dei protagonisti di questo e di altri romanzi di Virginia Woolf.

E allora, mentre passo attraverso la ciclabile circondata dai campi coi cavalli bianchi, penso a quanto io abbia amato Virginia Woolf, a come ero affascinata dal suo aver creato insieme al fratello, il Bloomsbury Group. Ricordo che, quando ne leggevo la storia, immaginavo tutti insieme questi scrittori, poeti, pensatori, artisti che una volta la settimana si incontravamo e discutevano di Estetica, di Filosofia e ovviamente di Letteratura. Ricordo ancora, distintamente, il mio sentimento di allora, quasi di invidia (lo so, sembra assurdo, ma forse in effetti, io sono assurda), nei loro confronti. Invidia condita, però, con affetto, e ovviamente grande, grandissimo rispetto e incommensurabile ammirazione.  Non so cosa avrei dato per vivere anche io nell’epoca vittoriana, se non altro per poterla criticare e soprattutto mi chiedo come sarebbe stato se solo anche io avessi potuto conoscere Virginia Woolf; avrei voluto assaporare ogni parola detta o scritta a quelle riunioni, ascoltare, imparare. Per me Mrs Dalloway è stata un’illuminazione. Prima di allora non mi era mai capitato di leggere un romanzo che si svolgesse in una sola giornata. Ho amato e apprezzato non tanto la trama in sé e per sé, ma il modo inusuale con cui la Woolf racconta una storia esclusivamente dalla prospettiva interiore della protagonista; ho amato i repentini viaggi nel tempo, tramite i pensieri e le emozioni di Clarissa Dalloway, i suoi monologi e i soliloqui come se il tempo e lo spazio si fondessero; il passato, il presente e il futuro scorressero sullo stesso piano, mossi da un ricordo nato da un oggetto, una frase, un pensiero. Rimasi veramente affascinata da questa lettura anche se, sinceramente, fino a questa mattina, pensavo di avere dimenticato tutto. Pensare allo “stream of consciousness” di Clarissa, non può non farmi volare col pensiero, tra una pedalata e l’altra, a James Joyce.

Ad un cento punto della mia vita mi ero follemente innamorata di Joyce. Mi rivedo da giovane (anzi diciamo, da “più” giovane”) impegnata a leggere l’Ulysse, senza riuscire ad arrivare fino all’ultima pagina e soprattutto senza avere le capacità di capirlo fino in fondo, ma comunque coinvolta, appunto, nello “stream of consciousness” dei protagonisti e ora i miei ricordi vanno alla più semplice lettura e interpretazione di The Dubliners, che tanto mi hanno fatto interessare all’Irlanda, nonostante il punto di vista di Joyce su quella che lui definisce come una sorta di “paralisi”,che ostacola la rinascita e il cambiamento della società irlandese del tempo, ma che potrebbe rappresentare tutto il mondo e quindi anche noi stessi.  Ricordo che il mio racconto preferito, o forse, l’unico che mi ricordi distintamente era “The Dead”. Anche qui, non so come e non so perché, ma mi torna in mente all’improvviso il senso di smarrimento del protagonista prima e la sua presa di coscienza poi, tormentato dal dilemma se sia meglio il lasciarsi morire dentro quando si è giovani o da vecchi, quando gli errori commessi crescono a dismisura. E ponendosi questo dilemma si era finalmente tolto la maschera, a differenza degli altri protagonisti dei Dubliners, che mai si mettono in discussione, e mentre lo leggevo, mi chiedevo se poi, gli irlandesi, avessero reagito…se qualcosa fosse cambiato. E fu proprio, forse, da quel momento che iniziai a studiare con profondo amore la storia dell’Irlanda, da ogni punto di vista, dalla letteratura alla storia, dalla poesia alle origini, dai miti Celti, alle leggende legata a San Patrizio, da Oscar Wilde ai poeti, da WB Yeats, che forse ho amato più di tutti, a Séamus Heaney..e via dicendo.

 Quando ero immersa in queste letture non potevo neanche immaginare, che poi, tanti anni dopo,  sarei andata a vivere proprio a Dublino e avrei attraversato anche io le strade che avevano percorso i miei scrittori/poeti preferiti e i protagonisti delle loro storie.

cicalbile-verso-desenzano

E mentre passo in bici dalla campagna di Barcuzzi, il tempo vola e non sento la fatica, immensa, nel mio personale stream of consciunsess… torno al Bloomsbury Group e penso a TS Eliot, del cui gruppo sembra abbia fatto parte. Penso a quanto abbia odiato studiare The Waste Land, quando dovevo studiarlo, e quanto abbia, invece amato “the Hollow men”.  Ricordo di aver letto da qualche parte che Virginia Woolf aveva scritto a TS Eliot per avvisarlo che il gruppo aveva fatto una sorta di colletta che gli avrebbe permesso  di lasciare il lavoro in banca per dedicarsi solo ed esclusivamente alla letteratura. Quanto avrei voluto conoscere questa banda di matti!

Quanto avrei voluto conoscerli! Quando avrei voluto esserci anche io.

Ogni tanto mio marito si gira per controllare che io sia “in scia” e ci sono. Quest’oggi sono proprio in forma. Sto pedalando con tanti di quegli scrittori che mi danno una carica pazzesca! Ma non glielo dico….

 Arriviamo dove la ciclabile si divide: a sinistra per Salò, a destra per Desenzano.

Qui, il primo cambio di programma. Chiedo a mio marito se sia mai stato a Desenzano e scopro , con sorpresa, che non l’ha mai vista. Allora decidiamo di non seguire, come al solito, sulla ciclabile dalla Valtenesi, ma di andare verso Desenzano. Peccato che, appena finita la discesa (ripidissima e pericolosissima – solo dei pazzi possono pensare, secondo me, di fare arrivare la ciclabile in un punto così ripido e pieno zeppo di dissuasori della velocità in cemento messi in parallelo) – i cartelli della ciclabile svaniscano nel nulla. Noi evidentemente sbagliamo perché seguiamo le indicazioni “lago” a sinistra, per poi giungere sulla provinciale alberata, che riconosco essere dopo Desenzano, in direzione Salò. Quindi giriamo le bici, raggiungo a piedi un semaforo con il bottone per i pedoni, attendo il rosso per le auto e attraversiamo, senza farci spianare. Dopo un paio di chilometri, sempre seguendo la provinciale, entriamo a Desenzano.

desenzano
Le nuvole si sono dipanate. Il sole è pallido, ma la luce è meravigliosa. Ci sono molte persone per la passeggiatina del sabato. Sembra di essere lontano anni luce da Brescia. Facciamo un giretto nel centro e poi ci fermiamo a fotografare il porticciolo. Lontano vedo un piccolo faro. E non posso non ripensare a  Virginia Woolf e al suo “to the lighthouse”. Ma è tempo di andare. desenzano

Osservando il lago, si distingue chiaramente la penisola di Sirmione e scopro che mio marito non è mai stato nemmeno lì. E allora, cambiamo definitivamente il nostro programma, e andiamo verso Sirmione.

Castello di SirmioneE’ bellissima. Piena di turisti stranieri, manco fosse Venezia in piena estate. Sono tutti accalcati all’entrata del castello scaligero, unico punto di accesso al paese. All’interno, tra le viuzze strette, un paio di vigili cercano, invano, di far defluire la folla e far transitare le auto che qui passano a mala pena. (possono circolare solo i residenti e gli ospiti degli alberghi). E’ impossibile, però, non soffermarsi a testa in su ad osservare le mura e le torri con la merlatura a coda di rondine, che ospitano gabbiani in cerca di riposo.

sirmioneCi facciamo strada tra la gente, cercando di non cadere dalla bici e ci fermiamo a fare qualche fotografia. Questo castello è affascinante. Trovo che abbia qualcosa di sinistro. Quando tornerò a casa, nel pomeriggio, scoprirò una leggenda ad esso legata:

“ Nel castello tanto tempo fa viveva una felice coppia di sposi: la bellissima Arice e Ebengardo. Durante una notte buia e tempestosa, un uomo bussò alla porta del castello in cerca di riparo. I giovani innamorati lo accolsero con piacere. Si trattava di Elalberto, marchese di Feltrino. Ammaliato dalla bellezza di Arice, durante la stessa notte, Elalberto entrò furtivamente nella sua stanza con l’intento di approfittare di lei. Arice cercò di difendesi strenuamente e le sue urla disperate richiamarono l’attenzione del marito Ebengardo. Quando, poi, arrivò, allarmato, nella stanza della moglie la trovò morta, pugnalata dalla furia di Elalberto. Dopo una violenta colluttazione, Elalberto muore trafitto dal suo stesso pugnale e da quel giorno il fantasma di Ebengardo vaga per il castello , condannato a rimanere tra i viventi, separato da lei.”

 sirmione-torri-merlate

Continuiamo a pedalare fino alle grotte di Catullo, senza però arrivare al cancello d’entrata perché il manto è fatto di ghiaia e non sarebbe il massimo bucare le gomme così lontano da casa.

Ricordo che l’ultima volta che fui a Sirmione, stavo studiando in Francia per l’Erasmus e venni in Italia con alcuni amici, come turista. Pazzesco che siano passati quasi 20 anni.

Il tempo vola davvero! Per via di tempo, è già mezzogiorno e noi dobbiamo tornare, abbiamo già fatto quasi 50 chilometri! Sulla via del ritorno, appena lasciata Sirmione alle spalle, scorgo la torre di San Martino e Solferino e siccome i cartelli indicano solo 3 km di distanza, penso che non sarebbe male fare una capatina anche lì. Andiamo in quella direzione e ci perdiamo. Poi, nonostante mio marito, come tutti gli uomini, non voglia chiedere indicazioni stradali per principio (non si sa quale sia questo principio, per altro!) fermo un signore e gli chiedo dove si vada per la torre. Alla fine, riusciamo ad arrivare. Nel giungere alla torre, dico a mio marito che a destra si trova l’ossario. Mi dice che non ha capito. Inizio a spiegargli, ma già a sentire le parole “teschi” e “scheletri”, vedo che cambia espressione e mi dice: “lascia stare, dai, andiamo avanti”.

san-martinoalbero

Ci fermiamo un attimo a fare alcune foto alla torre e poi cerchiamo la via del ritorno. Questa caccia al tesoro per la via del ritorno dura un’infinità di tempo.

A questo proposito vorrei dire a quei geni che hanno messo i cartelli “ciclovia del Garda”, che mettere cartelli con un pallino rosso e uno verde e frecce varie, NON SERVE ASSOLUTAMENTE A UN BEL NIENTE! Perché non è che uno sa a cosa corrisponda il minchia di pallino rosso o quello verde! Prendete esempio dai cartelli delle piste ciclabili, i cartelli marroni per intendersi! Quelli hanno il nome della destinazione e i chilometri che mancano per arrivarci. Non mi sembra che ci voglia un genio della navigazione satellitare per arrivarci!

 Ci affidiamo a google maps, ma il mio telefonino dopo 5 minuti si scarica. Alla fine andiamo a “naso”. Passiamo alcune colline moreniche. Paesaggio stupendo, ma dopo che hai bevuto solo un caffè alle 9 del mattino, hai pedalato 60 km, hai freddo e fame, la salita non è esattamente quello che vorresti affrontare. Finalmente troviamo il centro commerciale Leone alla nostra sinistra e quindi capiamo di essere, se non altro, nella direzione giusta, verso Brescia. In centro al paese incontriamo una signora che, vedendoci in difficoltà ci chiede “do-ve do-ve-te an-da-re?” piano piano, scandendo bene le sillabe, forse scambiandoci per stranieri; del resto questo è un classico della mia vita e non ho mai capito il perché. Mio marito fa finta di niente, come se fosse estraneo alla cosa, perché, come ben sapete, questo è uno dei pilastri della saggezza della bici secondo mio marito. Io, ovviamente, invece, apprezzo l’aiuto e le rispondo “a Brescia”. Allora la signora, cambia atteggiamento e sfodera tutta la sua brescianità “pota ma alura l’è facil fess, ta podet mia sbaglià! Gira de che – indicando la strada dietro di lei – e po’ va aanti, gira a destro, e po va semper semper dritta che edaret che riet a Bresà!” Ringrazio. Mio marito annuisce e mi sembra che accenni un grazie e partiamo. Sto morendo dalla fame e dai crampi ai piedi. Seguiamo le indicazioni della signora, vado velocissima perché non vedo l’ora di arrivare a casa. Mio marito mi raggiunge e mi chiede, con il suo aplomb inglese: “scusa amore, ma…ti hanno messo il peperoncino sul culo?” Non riesco a smettere di ridere.

Passiamo Mazzano, Rezzato, entriamo a Brescia e finalmente arriviamo nel garage di casa. Scendo dalla bici, tolgo la borraccia, ormai vuota e stacco il Garmin, salvando la corsa. Abbiamo fatto 92 chilometri. Sono veramente distrutta.

Entro in casa, le mie bambine mi corrono incontro a braccia aperte e mi chiedono “mamma, finalmente sei arrivata! Adesso giochi con noi?”. 🙂

percorso

60 km di gioia e un PS per mio marito

percorso bici -171013(English version here)

L’altra sera sono andata a dormire con un desiderio pazzesco di andare in bici. Solitamente al mattino, con la stessa intensità, trovo qualsiasi scusa perché questo desiderio svanisca. Invece ieri mattina, mi sono svegliata alle 7 meno dieci arzillissima, nonostante la mia bambina piccola, come al solito non ci avesse lasciato dormire, e in men che non si dica ero pronta per uscire con la mia bici.

Ho preparato la mia bambina grande per la scuola e siamo partite. Lei a piedi e io con la mia Pinarello Dogma 2 e con lo zaino di scuola delle Winx sulle spalle.

Arrivata a scuola, mia figlia ha voluto che , dal portone, aspettassi che salisse in classe con tutti i suoi compagni, per mandarle il bacio. Mi sentivo leggerissimamente a disagio, tra gli altri genitori vestiti in modo consono, e io con la mia tutina fasciante che non nasconde, anzi esalta, ogni cm2 di grasso, ma alla fine ho pensato “machemmefrega?” e così sono rimasta sul portone di entrata, tenendo la bici in piedi per il manubrio, con le mie scarpe coi tacchetti, il casco e gli occhiali da sole…la nota positiva è che nonostante il mio aspetto, i bambini non si sono spaventati! Anzi, mi sembrano divertiti!

Poi sono partita per un giretto in solitaria ed è stato bellissimo.

gavardinaMi rendo conto che sembro ripetitiva. Nel senso che ogni qual volta io scriva circa un mio giro in bici, dico che è stato bellissimo. Ma davvero è così! Ci sono uscite che non mi esaltano, tipo quella sul lago d’Iseo, ma in linea di massima, potrei fare lo stesso percorso 100 volte e ogni singola volta scoprirei qualcosa di nuovo, non necessariamente intorno a me, magari anche dentro di me. E mentre pedalo, sorrido. Poi mi rendo conto che sto sorridendo e allora mi scappa una risata. Sì, lo riconosco, sembro pazza, ma se non andate in bici, non potete capire…

mulino

Mentre percorro la Gavardina, io saluto gli alberi, il fiume e via dicendo (mi fermo qui, perché capisco che sembro pazza) e, come ho avuto già modo di scrivere, io mi sento ricambiata.

Naviglio Grande di BresciaIncontro, nella mia direzione e in quella opposta, altri “pedalatori” del mattino, di diverse specie…anziani che nonostante l’età sono ancora sulla bici da corsa e che, di norma, ci rimangono malissimo se li superi e a costo di un colpo apoplettico, ti DEVONO ri-superare per dimostrare a se stessi di farcela ancora.. nonni che usano la ciclabile per far fare la passeggiatina ai nipotini in carrozzella e che ogni tre passi si fermano per controllare se il bambino stia bene…signore di una certa età che fanno il jogging mattutino e che chiacchierano fitto fitto tra di loro…coppie di stranieri che fanno cicloturismo e hanno le bici, immagino strapesanti, stracolme di bagagli e ciononostante sembrano sempre felici e soddisfatti…e tutti, bene o male, si scambiano un cenno di saluto, un fugace cenno del capo, un formale “buongiorno” o, più spesso, un “ciao”.   E’ un saluto che non costa niente, e che fa piacere. O per lo meno a me fa molto piacere. Tutte le volte che mi capita, ho come l’impressione di essere in un non luogo parallelo al mondo “normale”, dove tutti sono gentili, dove anche se per un nanosecondo, tutti sono amici.

Come ho scritto sulla mia pagina di Facebook, la bici fa davvero bene, al cuore e all’anima.

PS per mio marito: come puoi vedere nel giro del ritorno da Gavardo a casa ho fatto una media per me altissima. SAPPI CHE FOSS’NCHE TRA 5 ANNI, PRIMA O POI RIUSCIRO’ A FARE I TUOI TEMPI! Intanto…sto in scia.

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